Felice Cajazzo

Riflessioni sulle opere di Letizia Caiazzo

Non conosco la cronologia delle opere di Letizia Caiazzo, ma sembra superficiale analizzare l’iter di una sensibilità artistica sulla mera scansione del tempo piuttosto che sulla riflessione introspettiva che l’opera provoca di un memoriale che fa della vita un eterno presente.

Il limite è nell’arte stessa come conoscenza simbolicamente espressa talvolta attraverso visioni fantastiche, talvolta per sublimazione del reale ma più spesso per dirompenti sintesi ove s’intrecciano passionalità e ricerca di senso, pacato equilibrio e attesa d’infinito affidato al magistrale utilizzo dei colori, o a tecniche espressive innovative e stupefacenti ma pur sempre di valore strumentale.

IL fatto è che parlare di arte, è parlare del sub-limine ovvero dello sforzo ultimo dell’uomo di cogliere l’altrove; coscienza del limite dunque ma anche possibilità di superarlo con più idoneo corredo d’indagine che solo lo scavo nella profondità del proprio esistere riesce a fornirci.

Letizia fa questo lavoro, coglie le ombre della nostra cultura decadente, denuncia la nostra speranza offuscata e vince il livore del mondo con la malinconia della “ Violoncellista” o del “Mare con fiori rossi”, si libera dal male di vivere che attanaglia i più, con sprazzi di intensa vitalità come in “Tori e torero” e “ Inquietudine”.

L’angoscia è repressa nelle ritmate volute di “Tango” o nell’alienante sosta dei sensi in disperante attesa di “ Torpore”, mentre la vita scorre come un viaggio nell’ignoto e un volto annuncia la necessità di un incontro: così “ Treno”. Il presente ingombrato dalla staticità del passato, tormenta la nostra artista quasi a toglierle il respiro, così come gli ingombri di “ Finestra”, inutili cose che impediscono di cogliere i vasti spazi al di là delle sbarre, e solo la lieve presenza di una farfalla al muro, testimonia lo svanire della malia di un sogno: una vena di ironico scetticismo che purifica dall’alienazione ed eleva alla dignità intuitiva dell’arte la mestizia di un fugace rimpianto. “Eros e cibo” : amore possessivo che domina la scena del mondo dove solo la ciliegia può rappresentare l’amore oblativo perché si lascia maciullare tra le mascelle degli avidi; tragedia? No forse ancora speranza…finchè esistono le ciliegie… o meglio semi disposti a marcire nel terreno per la perpetuazione della vita; dominino pure gli spazi asfittici i “Gatti nel vicolo” assuefatti al grigiore della loro esistenza!! 

“ Il vecchio e il mare” sono testimoni inermi del dramma del vuoto di senso che avvolge il tutto, mentre il volto velato di “Ricordi” piange un passato non del tutto vissuto ma orgogliosamente ripudiato.

Non si rassegna a letture negative Letizia, ma raccoglie il suo carattere forte e pensa positivo, approda alla visione di “arcobaleno” ovvio simbolo di speranza nella realtà di un mondo ondivago che tuttavia può diventare sempre nuovo finchè “Due bimbe” continueranno a giocare su di esso.

Anche l’uccello di luce che attraversa un cunicolo in “ Insieme” dà il senso di un centro di gravità permanente nell’arte di Letizia: tutto in una fase più matura del suo itinerario sembra ridursi a ricerca di sintesi essenziali; l’ “ Enigma” uomo in cerca d’identità; anelito di fondamentali in “ Preghiera” al di là del chiassoso “ Groviglio”delle umane contraddizioni. Ma non basta ancora: l’artista non si sottrae al suo destino di creatore di spazi da colmare, libero battitore dell’infinito navigabile in cui sa di rischiare di affogare; rasenta l’infinito innavigabile che può diventare accessibile solo sperimentando la dolcezza del naufragio : il limite può diventare valicabile per la forza assorbente della contemplazione. 

La ballerina di “Come volare” potrebbe diventare un’icona didascalica per introdurci in un’esperienza del trascendente, ma un dubbio ci assale: quel come significa “come se”, oppure “in che modo”? Sogno oppure religioso realismo di chi sa che certe vette si toccano solo con l’umiltà dell’inchino? La testa prona però, ci dissuade da tale interpretazione, bastava ruotarla di circa 60°, come nella morte del cigno, per cogliere un altro orizzonte. 

E poi… raccogliere fiori ma perché? Per chi? Forse solo per la voluttà di un profumo? O è un’adorazione pagana per la natura? Misteri del relativismo che impregna l’arte contemporanea con cui riesce sempre più difficile confrontarsi forse perché , nell’accezione totalizzante che tutto sia arte, il successo maggiore è dato dall’ambiguità dell’interpretazione, variabile dipendente dalla fama del critico.

Felice Cajazzo 
2017

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